Green Oscar

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Green Book ha vinto l'Oscar e a me è tornato in mente il viaggio che feci anni fa da New York a New Orleans, quando toccai con mano l'arroganza dei bianchi degli Stati del Sud

Ma come sono contenta che Green book abbia vinto l’Oscar! Il film di Peter Fannelly è di quelli che ti riguardano, che mentre li vedi ti assolvono dalla tua vita e sei lì, sullo schermo, sei i personaggi e la storia, e tremi e gioisci come si trattasse di te. Nel film si incontrano un razzista e un classista, entrambi pieni di pregiudizi, ognuno a suo modo.

Tony Lip, italoamericano, è un rozzo buttafuori senza un soldo, così razzista da gettare nella pattumiera i bicchieri dove hanno bevuto “due brutti negri”. Don Shirley, afroamericano, coltissimo, diventato ricco grazie al talento, è un grande maestro della musica classica, pianista incomparabile, aristocratico di modi e di spirito. Tony viene ingaggiato da Don come autista, per una tournée nel sud degli Stati Uniti, che si presenta molto rischiosa: siamo nel 1962, e al Sud la segregazione razziale è feroce. Ma Don la affronta come militanza, per rialzare le sorti della sua gente. Per il viaggio, dovranno seguire il Green book, una guida ai viaggi dei neri nel Sud: ovvero la mappa della discriminazione, l’elenco delle strade, dei motel, dei locali dove agli afroamericani è proibito accedere. Tony e Don si detestano a prima vista. Tony si sente umiliato, non sopporta di essere al servizio di un uomo di colore, e cerca goffamente di prendere il sopravvento. Ma ha trovato un osso duro. Don a sua volta trova immonde le maniere triviali del suo autista, che conosce solo il turpiloquio, mangia hot-dog unti mentre guida, è ignorantissimo e fumerebbe anche in chiesa.

Don Shirley riempie i teatri, come artista viene acclamato con entusiasmo ai concerti, e umiliato come persona nella maniera più bieca: non può usare i servizi dei bianchi, né mangiare nei loro ristoranti. Tony e Don finiscono per diventare compagni della stessa avventura. Tony comincia ad ammirare l’arte di Don, il suo coraggio, il senso della giustizia. Shirley va oltre il pregiudizio di classe, e impara ad apprezzare la saggezza ruspante di Tony. Dapprima timidamente, nasce un’amicizia. Vengono anche arrestati, solo perché i poliziotti trovano intollerabile che l’autista sia bianco e il giovane elegante seduto dietro sia un nero. Li sbattono in cella, fanno subire loro le stesse offese, gli stessi insulti razzisti. Finché Don, come un prestigiatore, a malincuore tira fuori la colomba dal cappello, e con una telefonata a un amico ribalta la situazione. Per ordini superiori, i due vengono scarcerati all’istante. Tony, sbalordito, chiede a Don “ma si può sapere chi hai chiamato?”. L’amico che li ha fatti liberare è Bob Kennedy. Al ritorno, entrambi sono persone diverse, più umane, più ricche. E amici per la vita, come accadde poi davvero ai protagonisti, visto che si tratta di una storia vera.

Gli attori sono formidabili. Nella parte di Tony, ingrassato di 20 kg per amore del film, Viggo Morgensen, ed è strano vedere colui che fu il bellissimo e sofisticato Ala Triste, sfasciato, col pancione, eppure attendibile e trascinante. Mahershala All è Don Shirley, un principe della recitazione. Ho discusso con due ragazzi, al cinema, che non credevano ci fosse stata una segregazione così violenta, e ho potuto dire la frase che spetta ai vecchi, “Io c’ero”. Proprio negli anni in cui è ambientato il film, feci un viaggio in macchina da New York a New Orleans,  attraversando gli stati del Sud. Avevo appena finito il liceo, ero piena di ideali, conoscevo la situazione, ma vedere di persona è un’altra cosa, e ricordo lo sgomento, la vergogna, l’inutile rivolta a quelle scritte “For white only”, l’arroganza dei bianchi del Texas o dell’Alabama, il loro patetico e idiota senso di superiorità in quanto bianchi, l’oltraggio quotidiano inflitto alla popolazione di colore. E quando vedo che l’Italia sta scivolando sulla china di un razzismo sfrontato, ho paura. Mi sento avvolta dal buio, dal sonno della ragione. Viva la civiltà, viva Peter Fannelly. Viva gli Oscar.

 

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