Il telefono, la tua voce

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Ai tempi in cui esisteva soltanto il telefono fisso, per sentire la voce di amici e parenti dovevi sperare che fossero in casa. Mentre oggi tutto è cambiato

Forse non tutti rammentano che si chiamava Bigrigio (potete leggerne una breve storia su Confidenze in edicola adesso nella rubrica Te lo ricordi?). Ma chi ha almeno quarant’anni non può aver dimenticato il telefono fisso della Siemens che dal 1962 è entrato nelle case degli italiani, per rimanerci una trentina di anni. Cioè, fino a quando è stato sostituito dai modelli con la tastiera al posto della rotella che ti metteva in contatto con la voce di amici e parenti.

L’avvento del nuovo apparecchio ha segnato un passo notevole verso una comunicazione più veloce. Allora, infatti, non si parlava d’altro: la possibilità di digitare i numeri insieme, finalmente liberi dalla cadenza del ritorno in posizione della ruota.

In realtà, tanto entusiasmo era ingiustificato visto che, una volta composta la cifra, bisognava comunque attendere che il telefono la registrasse. E la cornetta che emetteva suoni dalle lunghezze diverse se facevi l’uno (un solo trrrr) oppure lo zero (dieci trrrr) dimostrava palesemente che dall’altra parte avrebbero risposto negli stessi tempi di prima.

Eppure, veder scomparire il Bigrigio è stata una gioia. Per i giovani che ancora vivevano in casa, perché il modello con tastiera aveva privato i genitori dell’odiosa abitudine di mettere il lucchetto al telefono con la scusa di calmierare le bollette. Per i lavoratori, convinti di essere diventati più efficienti con le dita che schiacciavano a tutto sprint. E per chi già sognava un futuro sempre più all’avanguardia, dato che presto sarebbe stato accontentato.

Per esempio,  dall’arrivo dei cordless. Accolti con pirotecnica euforia in quanto permettevano magicamente di avere la cornetta sempre a portata di mano. E poco importava se solo entro le mura domestiche, perché l’idea di telefonare da fuori casa senza infilarsi in una cabina era ancora lontanissima.

Poi, però, c’è stato il periodo degli apparecchi con cui parlare dall’automobile. Che ha scatenato l’ipotesi fantascientifica di un dispositivo da usare ovunque e in qualsiasi momento.

Della serie niente è impossibile, in effetti alla metà degli anni ’90 sono comparsi davvero i cellulari. Che hanno facilitato le comunicazioni, rivelandosi i responsabili di un cambio radicale della vita di ognuno di noi.

Per quel che mi riguarda (ma non credo di essere la sola) pensare oggi di non avere lo smartphone mi disorienterebbe. Fare un passo fuori casa senza sentirlo nella tasca mi darebbe la sensazione di uscire nuda. E chiamare qualcuno con il rischio di non essere ricontattata perché non sa che lo sto cercando mi getterebbe nel panico (le chiamate anche non risposte sono comunque segnalate).

Insomma, pur essendo nata nell’era del Bigrigio (che comportava giornate in salotto ad aspettare uno squillo importante, oppure l’ansia di non aver inserito la segreteria telefonica) ho impiegato un nanosecondo ad abituarmi al cellulare. Al punto da chiedermi come abbia potuto crescere senza.

I ragazzi di oggi, infatti, non immaginano neanche le nostre abitudini quando esisteva soltanto il fisso. Non sanno che non aveva il display che annunciava chi ci fosse dall’altra parte. Che noi non parlavamo di ricarica, ma andavamo in giro con il sacchettino dei gettoni. E neppure che se non erano sotto gli occhi, non esisteva genitore che avesse idea di dove fossero i figli.

Il nostro mondo telefonico a loro del tutto sconosciuto mi sembra incredibile. Poi, ci penso e mi dico che anche a mia nonna pareva strano sentirci contattare gli amici senza passare attraverso un centralino a cui chiedere: «Signorina, mi metterebbe in contatto con il numero….?». Detto questo, chissà dove arriveremo…

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