Io al vaccino ci credo!

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La dose uno e la dose due sono a mio parere un dovere sociale. Ecco perché avrei fatto fare il vaccino ai miei figli anche se fossero stati adolescenti

Sono assolutamente a favore del vaccino, tant’è che ho completato il ciclo appena mi è stato possibile. Anche se, lo ammetto, appena mi sono trovata con il braccio nudo pronto per la prima iniezione, un po’ di paura l’ho avuta. Perché sono mesi, ormai, che su questi benedetti (o maledetti?) farmaci se ne sentono di tutti i colori, non sempre belli e allegri come quelli di un giardino in fiore.

Detto questo, ripeto che non ho avuto dubbi sul farmi somministrare le dosi indicate come l’unica soluzione allo stop dei contagi. Ma mentre finalmente stampavo orgogliosa il mio green pass ed entravo a far parte del 60% degli italiani over 12 che hanno completato il ciclo, ho pensato che sono fortunata a non avere figli adolescenti e, quindi, di non dover decidere se sottoporli o meno alla trafila anti Covid-19.

A mandarmi nel panico, sarebbe proprio quel 19 che, superata la metà del 21, risulta un po’ sinistro. Perché dopo più di un anno e mezzo dall’inizio dell’emergenza, la situazione è di certo migliorata. Ma siamo ancora in alto mare. Non a caso, la famosa immunità di gregge che sembrava a portata di mano, secondo il commissario straordinario Francesco Figliuolo si potrebbe raggiungere solo a fine settembre, con l’80% del Belpaese vaccinato.

Ed ecco l’inghippo davanti ai miei occhi: visto che la matematica non è un’opinione, come può una percentuale così piccola (80 contro 60) fare la differenza? I vari Astrazeneca, Pfizer, Moderna & Co. non funzionano o la colpa della quarta ondata (è giusto il numero, no?) è di chi continua a rifiutare le iniezioni?

Per chi le ha fatte, ovviamente la risposta giusta è la seconda. Per i no-vax, la prima. Ma se la verità non è per niente chiara, io sono comunque contenta che l’Italia si collochi sopra la media europea per numero di somministrazioni in proporzione alla popolazione (l’ha detto il tiggì e ci credo).

Sono, infatti, convinta che vaccinarsi sia un dovere verso se stessi e verso il prossimo. Al punto che se avessi davvero dei figli molto giovani, opterei per il sì anche per loro. Intanto, per tentare di riuscire a mandarli di nuovo a scuola, dopo questo lungo periodo assurdo di didattica a distanza, un vero flagello dal punto di vista dello studio e, ancor di più, sociale. E poi, perché ci sono momenti in cui davvero bisognerebbe essere uniti.

Invece, ho sentito gente che ha rimandato l’appuntamento di mesi per avere il tempo di assicurarsi che i puntuali non fossero travolti da effetti collaterali indesiderati (cavolo, che simpatici). Oppure, ha deciso di non presentarsi del tutto, tanto ci avrebbero pensato i pecoroni a condurli all’immunità di gregge (e in questo caso parlare di simpatia diventa addirittura riduttivo).

Allora, solo per insegnare ai miei ipotetici figli dodicenni il rispetto nei confronti della comunità, li avrei portati subito al centro più vicino a casa, rigorosamente in canotta in modo che il loro braccio fosse già un bersaglio in bella vista nel momento in cui varcavano il portone dell’hub.

I ragazzi, invece, sono ormai oltre i 30 e la mia parola per loro non è più il verbo (sempre ammesso che lo sia mai stata). Ma quando uno dei due (diciamo il più coraggioso in fatto di aghi che bucano la pelle) mi ha dichiarato la data del suo secondo appuntamento, ho provato orgoglio. E alla notizia che anche l’altro (il cui rapporto di terrore con tutto ciò che è medico è più patologico del mio) aveva il green pass in tasca, mi sono fatta uno spritz per brindare.

Confidenze