Mi sorridono i monti, ma non sono Heidi

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Appena posso scappo dalla città, alla volta di monti o mare. Da dove, però, torno presto. Perché la mia vita ideale è metropolitana

Via dalle metropoli si vive meglio? Secondo le cinque donne intervistate nell’articolo che porta questo titolo (su Confidenze in edicola adesso), assolutamente sì. Infatti, nessuna di loro è pentita di aver scelto la campagna o i monti come luogo di residenza, né tornerebbe mai indietro.

Lasciare Milano e dedicarmi ad attività campestri, invece, non è proprio nella mia natura. Tant’è che mi considero baciata dalla fortuna per essere nata e cresciuta all’ombra della Madonnina. E ne sono così convinta da non aver mai sognato una fuga in mezzo al verde e, meno che meno, una carriera ad allevare animali.

Iniziamo da loro: in teoria li amo tanto. Nella pratica, invece, mi fanno paura. Tutti. Dal pulcino (che per quanto minuscolo prima o poi penso che mi beccherà) al bovino (così grande da mettermi il terrore addosso), all’equino (del quale mi inquieta il carattere imprevedibile).

Quindi, non riesco a immaginarmi felice alla mattina, sapendo che dovrò entrare nel pollaio a spargere becchime e raccogliere uova (se temo l’assalto del pulcino figuratevi quello del gallo). Nel pomeriggio non mi sconfinfera l’idea di pascolare mucche (le quali, magari, con le balle improvvisamente girate decidono di caricarmi tutte insieme). E il solo progetto di una bella galoppata nel bosco al tramonto, al posto di allettarmi mi fa pensare a un puntuale disarcionamento appena monto in sella.

Non migliorano le mie prospettive bucoliche se mi metto nei panni della contadina. Per la sveglia all’alba, che non combacia minimamente con i miei bioritmi. Per l’impazienza che non mi fa tollerare la semina oggi e il raccolto fra qualche mese. Ma, soprattutto, perché il tuffo nella natura mi piace un sacco, purché duri lo spazio di un weekend.

La mia linfa vitale, infatti, sono il traffico, l’impossibilità di trovare posteggio, il rumore del tram, gli edifici alti che nascondono il cielo. Addirittura anche lo smog, che ovviamente non mi piace, ma mi fa sentire a casa.

Ecco, sono arrivata al punto: se stessi via dalla metropoli per un periodo dilatato (figuriamoci definitivo) mi sentirei un pesce fuor d’acqua. Infatti, neppure il Covid è riuscito a convincermi a un isolamento immersa nel verde o con vista sul mare, nonostante quando sento amici che sono fuggiti prima che l’ennesimo DPCM li braccasse, mi domando quanto la scelta di resistere a Milano sia stata la migliore.

Foto pubblicate sui social di barbeque alle pendici di monti incontaminati e di passeggiate su spiagge mai viste tanto deserte, devo dire, mi hanno fatto sentire una cretina patentata, incapace di sfruttare l’occasione della lunghissima vacanza consentita dalla pandemia. Soprattutto considerando che sono in smartworking da marzo e che da allora (10 mesi!!!), con il computer sotto braccio avrei potuto lavorare ovunque.

Poi, però, mi viene in mente che le ipotetiche mucche imbufalite a cui accennavo sopra sarebbero stati agnellini in cerca di coccole rispetto agli abitanti dei posti dove mi sarei rifugiata. E senza soffermarmi sull’opportunità degli atteggiamenti ostili riservati ai villeggianti in trasferta (da nord a sud è successo un po’ di tutto), mi sono resa conto che è proprio vero: mogli e buoi dei paesi tuoi. E io, che non sono moglie e neppure bue, sono in assoluto un animale metropolitano.

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