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Serve chiudere Tik Tok?

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Il Garante per la protezione dei dati personali ha disposto il blocco immediato di Tik Tok nel nostro Paese dopo la tragedia della bambina di 10 anni che a Palermo ha perso la vita per una sfida on line che incita al soffocamento, molto in voga sul social network.

La bambina è stata trovata giovedì scorso dai genitori in fin di vita in bagno con il cellulare, e una cintura dell’accappatoio stretta al collo, vani i tentativi di soccorso in ospedale dov’è stata constatata la morte cerebrale della piccola. Una nota sul sito del Garante della Privacy precisa che “il blocco immediato è limitato ai dati degli utenti per i quali non si è in grado di accertare con sicurezza l’età anagrafica e durerà per il momento fino al 15 febbraio, data entro la quale il Garante si riserva di fare ulteriori valutazioni”.

Non è la prima volta che Tik Tok finisce nel mirino della Garante della privacy sempre per il tema della scarsa tutela dei minori nei social network. A dicembre erano state contestate al social network cinese una serie di violazioni come: “ scarsa attenzione alla tutela dei minori; facilità con la quale sono aggirabili i divieti, previsti dalla stessa piattaforma, di iscriversi per i minori sotto i 13 anni e poca trasparenza e chiarezza nelle informazioni rese agli utenti”. Per non parlare del fatto che oltre l’80% di un migliaio di giovani tra 11 e 25 anni interpellati in un’indagine di Fondazione Carolina e Pepita Onlus, ha ammesso di essere stati raggiunti da contenuti violenti o sessualmente espliciti sul social cinese.

Da parte sua Tik Tok (che conta 2 miliardi di utenti attivi nel mondo, 100 milioni negli Usa e e circa 8 milioni in Italia) ha subito rilasciato una nota di cordoglio verso la famiglia della bambina e ha dichiarato che “privacy e sicurezza sono una priorità assoluta per Tik Tok e lavoriamo costantemente per rafforzare le nostre policy”.

Sta di fatto che in questa triste vicenda l’impressione è che si sia chiuso il cancello quando ormai i buoi sono scappati e che come sempre ci voleva il morto perché venissero presi provvedimenti più drastici.

In Italia l’iscrizione ai social network è vietata ai minori di 14 anni, una deroga a un regolamento europeo più severo che stabilisce a 16 l’età minima per la gestione dei dati personali su Facebook, Instagram Twitter e altri social.

«In Italia non si possono somministrare alcolici agli under 16, o vendere sigarette ai minorenni» osserva Ivano Zoppi segretario generale di Fondazione Carolina Onlus «mentre una bambina siciliana di 10 anni e un bambino napoletano di 11 possono iscriversi a un social nonostante la normativa Ue non lo consenta fino ai 16 anni. Una violazione evidente, anche considerando la scelta dell’Italia di recepire la direttiva abbassando l’età minima a 14 anni. Garantire il rispetto di questo limite rappresenta una delle sfide dei prossimi anni – aggiunge l’esperto educatore – altrimenti dovremo fare i contatti con una costante precocizzazione dell’esperienza digitale».

Il vero problema infatti non è solo la piattaforma in sé e il rispetto della privacy dei minori ma proprio lo spostamento della soglia di rischio dalla pre-adolescenza all’infanzia. Gli adolescenti si avvicinano sempre più presto agli strumenti digitali, senza avere la maturità e la capacità di gestire il bombardamento di emozioni ed esperienze a cui sono soggetti. Le famose challange, edizione digitale delle prove di coraggio estreme che spingono tanti ragazzi a lanciarsi da ponti o ingurgitare dolci fino a star male, sono una delle tante mine vaganti in cui un ragazzino può incappare in rete.

«I minori entrano sempre prima nel mondo on line e l’emergenza Covid di questi mesi ha portato un’accelerazione pazzesca di spostamento dal reale al virtuale» commenta Alberto Pellai, medico e psicoterapeuta dell’età evolutiva, (autore di tanti libri sugli adolescenti, tra cui l’ultimo appena uscito Tutto troppo Presto) intervistato da Confidenze.

« Il vero problema non è tanto la supervisione dei genitori e il monitoraggio della vita on line dei figli, che spesso diventa impossibile, ma è l’approccio pro-attivo: i genitori devono essere attivi nel fornire regole quantitative qualitative e devono dirle chiare ai ragazzi e poi devono cercare di coinvolgerli in attività a cui li sanno appassionati, partecipare con loro. Invece c’è un silenzio educativo degli adulti».

Ora il provvedimento di blocco di Tik Tok verrà portato all’attenzione dell’Autorità irlandese, considerato che l’azienda ha comunicato di avere fissato il proprio stabilimento principale in Irlanda. Ma c’è da chiedersi se i ragazzini impossibilitati a connettersi al loro social preferito non troveranno altre strade e altri servizi per stare connessi on line. E se finito il clamore legato alla vicenda della piccola Antonella di Palermo, non torni tutto come prima. Quello di cui hanno bisogno i ragazzi è invece qualcuno in grado di fornire loro un’educazione digitale capace di fargli riconoscere e superare i pericoli che si possono incontrare in rete: dal cyberbullismo al sexting, dall’adescamento alle challenge.

Per questo vi chiediamo nel nostro sondaggio: Serve chiudere Tik Tok?

 

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