Gabriella Zappalà: chi era costei?

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Un scrittrice che per irriverenza e stile non aveva paragoni. Raccontava le orge della piccola borghesia, gli eccessi erotici e i comici orrori della natura umana

Ho scoperto che non è l’autunno, ma la primavera la stagione delle nostalgie. Adesso che i venti diventano più dolci, e dal cielo nero si passa a un sole quasi estivo, mi passano davanti volti e fantasmi e il desiderio di farli rivivere, come Gabriella Zappalà. Chi era?

Una scrittrice, che per irriverenza e stile non aveva paragoni, e morì sconosciuta, a 53 anni. Me l’ha ricordata la vicenda di un barbone a cui le persone perbene hanno bruciato la panchina dove dormiva da due anni. Lui, vicino ai resti della sua “casa”, si è messo a gridare «Io vi disprezzo! Io vi disprezzo! Io vi disprezzo!».

Ma neppure lui disprezzava il mondo come Gabriella Zappalà, casalinga che stava nella sua cucina, e sapeva di essere la più grande scrittrice assente. Scriveva su quaderni a quadretti, e passava le vacanze “a Cattolica, da conoscenti”. Le sue pagine, per audacia e stile, farebbero saltare in piedi anche Céline.

Stava rintanata in casa con sua madre, che la umiliava e le chiudeva a chiave il telefono, ma non la lasciò mai perché era una vera sadica e una masochista vera. Di volta in volta era schiava, o tiranna. La parità, la aborriva. Da bambina mangiava pezzi di libri, per assumerne la potenza letteraria. A undici anni, anche un intero capitolo di Guerra e pace, che le causò le vertigini e la lavanda gastrica.

Lo psicanalista che provò a “normalizzarla” si ritrovò a strisciare ai suoi piedi, balbettando con una vocina infantile, e pregandola di schiacciarlo. Così faceva con gli uomini, perché glielo chiedevano.

Nei suoi libri raccontava come nessun altro le orge della piccola borghesia, gli eccessi erotici di personaggi cui mancava sarcasticamente di rispetto, i comici orrori della natura umana: De Sade era il suo valletto rispettoso. Venne con un quadernetto, io diedi un’occhiata all’autrice, modesta, dimessa,  e pensai fosse una specie di Liala. Quando lo lessi, mi si drizzarono i capelli come a un porcospino – era una dinamitarda, era un genio. In considerazione della sua grandezza, la frequentai per un po’ ma poi smisi, perché mi rubava tutti i fidanzati. Non lo faceva apposta, gli uomini fiutavano il mostro, e la volevano. Lei, che era piccola, con gli occhi distanti, più racchia che bella, spiegava il suo fascino con semplicità: «Capirai, non gli pareva vero, biondina, occhi azzurri, psicopatica».

La sua indifferenza alla fama era assoluta. Derideva tutti e anche me, sua devota. Diceva che la letteratura è un’altra cosa. Gabriella, mi manchi.

 

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